Un altro racconto di Tamara Morelli, dove un mondo migliore è possibile grazie all’apporto (e al supporto) dei bambini e delle loro qualità.
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Il vecchio mondo, quello girevole del mappamondo, se ne sta ancora sulla mia scrivania, illuminato da una lampadina.
Mentre lo faccio ruotare, penso che il progresso però non è stato uguale in ogni luogo geografico, ma ha seguito un percorso a chiazze: c’è differenza tra l’emisfero Nord e quello Sud, tra l’Est e l’Ovest. Per esserne convinti, basta cercare un libro o un giornale e leggere. Ma il vecchio mondo mi è sembrato arrabbiato con noi.
L’altra sera, prima di cena, ho sentito delle voci parlottare nel mio studio. Mi sono avvicinata e un gorgogliare, come di acqua che scorre, è diventato sempre più chiaro e percepibile.
«Non voglio più vedere il solito copione della commedia umana, che si svolge tra confusione stizzita e percezioni ingannevoli, mascherate da desideri e sogni impossibili! Adesso volto pagina e scomparirò, sino a che non cambierà qualcosa».
In quel momento, il crepuscolo ha tinto il cielo di violetto, ho udito il sibilare del vento e il freddo è penetrato nel mio corpo.
Non sapevo cosa succedesse: mi sembrava d’essere su un ottovolante con la testa che mi girava. Il vento spazzava via le mie idee, i miei pensieri; volevo dire qualcosa, ma la mia voce correva, correva come acque di un fiume in piena. Le parole mi uscivano di bocca in un fluire così veloce, che non comprendevo cosa dicessi e a chi stessi parlando.
Il vento continuava a emettere fischi assordanti e io mi coprii le orecchie. Alzai gli occhi e vidi una lunghissima cintura – così mi sembrava – penzolare dal soffitto; ma era così lunga che non potevo racchiuderla in un anello.
“Ha un inizio, ma è senza fine!”, dicevo, mentre cercavo di arrotolarla. “Ma che sarà mai questa cosa?”
A un certo punto, quello smisurato anello si spezzò, mentre un tuono roboante rintronò nello spazio. Tante zolle di terra caddero giù: putumpunfete, pum, pum punfete! Calcinacci, sassi, pezzi di mobilio. Un vero terremoto senza vibrazioni del suolo. Le due parti, in cui la lunga cintura si era divisa, iniziarono a serpeggiare e poi ad allungarsi come due serpenti che escono pian piano dal cappello di un prestigiatore, al suono di una musica magica. Allora capii che la primitiva cintura era quella che racchiudeva la circonferenza del globo terrestre e adesso che si era rotta anche il vecchio mondo si era frantumato in mille pezzi nello spazio infinito. Un altro brivido di freddo mi fece scuotere tutta, dai piedi sino ai capelli. Vidi volteggiare in una grossa capriola uno spartito musicale, alcuni strumenti e un leggio. Uno dietro l’altro fuggivano lontano, tracciando una traiettoria nera e fumosa, che diventava sempre meno visibile.
Ebbi un presentimento: il vecchio mondo era scomparso davvero e con lui il silenzio e il tempo nella sua dimensione distesa.
Il tempo è una corda, ogni nodo è un percorso già svolto; ma se il mondo è scomparso, i nodi chi li intreccerà?
Nel tempo disteso si poteva ascoltare il cinguettio degli uccelli, il mormorare del ruscello e il picchiettio di piedini che uscivano dall’acqua. Il tempo disteso tracciava insieme al silenzio onde sonore su uno spartito musicale, che ognuno sapeva leggere e interpretare come la fantasia gli dettava. Tempo e silenzio andavano d’accordo: l’alba aveva modo di farsi mattina; ognuno di noi poteva guardarsi allo specchio e dare a se stesso il buongiorno sorridendo. Ma il vecchio mondo non c’era più, chissà dov’era andato.
Le ore passavano; io, freneticamente, come in un vecchio film di Charlie Chaplin, spolverai alcuni libri; poi lessi qualcosa, ah, sì, in qua e in là le pagine di un libro da bambini di cui non ricordo il titolo, perché il capo mi girava, proprio come il mappamondo. Vidi davanti ai miei occhi immagini colorate di vita, di uomini, di bimbi, di tante parti del mondo sfilare come su un palcoscenico, una dopo l’altra senza avere il tempo di capirne il senso. Ero stanca e in più mi sentivo strana, molto strana.
A un tratto, nella confusione di immagini e pensieri, udii ancora una volta la stessa voce, con lo stesso tono, interloquire con qualcuno.
«Ho scoperto una pagina vuota nel copione della commedia», diceva il vecchio mondo.
«Scrivila con il colore delle stelle del cielo», gli faceva eco un bambino, che lo vedeva piangere.
«Ma le stelle si sono spente, non brillano più!»
«Allora chiamerò il mio amico lampionaio, con il suo lungo bastone, che passa di strada in strada ad accendere lo stoppino!»
È proprio vero: i bambini hanno tante idee e possono salvare gli adulti dalle tristezze.
Allora il vecchio mondo si rincuorò e provò a scrivere un’altra pagina. Ma la pagina restava bianca, il colore delle stelle era adesso troppo brillante e la penna non scriveva e lasciava solo segni trasparenti.
Basterebbe una briciola di sentimento a far riscrivere un altro episodio, anche breve. Invece l’egoismo è muto, chiuso in se stesso e sembra che l’usurpatore abiti vicino a casa nostra. Prima tante case, l’una accanto all’altra vicine, formavano un villaggio di amici, adesso tanti sconosciuti abitano in un palazzo. Apriamo porte e finestre e facciamo entrare il sole, non costa niente, lui dona il suo tepore a tutti gratuitamente.
Proviamo a scrivere un altro copione: ognuno ne sarà l’autore immaginario. Tutti saremo coautori capaci d’immergere la penna nell’inchiostro per inventare un nuovo mondo. Non avremo bisogno né di professori zeppi di vecchie idee, né di geografi, né di politici potenti, ma di bambini. Solo così il vecchio mondo ritornerà ad essere felice e lascerà il posto a quello nuovo, dove fantasia, voglia di vivere e fiducia voleranno in un magico abbraccio.
Tamara Morelli