Un patron da “Gran Premio”

Pubblichiamo l’intervista integrale di Christian Santini a Renzo Maltinti, fatta nel 2019 in occasione della stesura del Quaderno dell’Archivio di Vinci nel Cuore dedicato ai protagonisti del ciclismo vinciano, “Storie su due ruote. Dalla bicicletta di Leonardo al Giro d’Italia”.
Nel tentativo di mantenere vivo il ricordo di un simbolo dello sport del nostro territorio.

Se si parla di ciclismo a Vinci non si può tralasciare il Gran Premio Città di Vinci, forse il simbolo del ciclismo vinciano, diventato ormai appuntamento tradizionale estivo da oltre cinquant’anni.
A parlarcene è quello che una volta avremmo potuto definire il patron, Renzo Maltinti, titolare dell’azienda omonima che produce e vende lampadari, nonché presidente del Gruppo Sportivo Maltinti, detentore da oltre quarant’anni dell’organizzazione della corsa ciclistica. “Sono passati tanti sindaci e abbiamo sempre avuto rapporti ottimi con tutti. Noi siamo per avere patti chiari e amicizia lunga: quello che diciamo lo facciamo, e quello che pretendiamo otteniamo”. Già da queste prime parole si evince lo spirito di quello che è il Città di Vinci e di come è riuscito a mantenere i propri standard nei decenni, consentendo alle parti, organizzatori e utenti, di rimanere soddisfatti ogni anno.
“Questa gara viene fatta da 56 anni. È una delle più vecchie in Italia. Tutti si sono prodigati affinché venisse fuori un evento non spocchioso, bensì fatto per bene, nella media, ma con
grande qualità. Ciò è potuto accadere anche grazie alla cittadinanza e alle amministrazioni. Quando andiamo in un paese e vediamo che tutti si adoperano perché la manifestazione si svolga nel migliore dei modi, com’è stato fatto finora, è una bella cosa. È bello organizzarla ed è bello coinvolgere anche chi di ciclismo non ne mastica”.

Renzo Maltinti segue il Gran Premio Città di Vinci da oltre quarant’anni, sin dai tempi del sindaco Cesarino Allegri. Prima della gestione Maltinti c’erano due o tre società che si occupavano della realizzazione dell’evento, poi è stata la volta del Gruppo Sportivo, in collaborazione con Allegri, che allora sedeva nella commissione comunale che si occupava di ciclismo nel Comune di Empoli. All’inizio la cosa partì come una sfida: insieme a Renzo Maltinti c’erano quattro o cinque collaboratori e volontari, che negli anni sono arrivati a essere 42, segno di un coinvolgimento vivo da parte dei pionieri di questa manifestazione. Ognuno ha il suo ruolo, e ognuno diventa fondamentale, perché il GS Maltinti non è solo il Città di Vinci, ma anche la Firenze-Empoli, il Città di Empoli e le corse ciclistiche di Gambassi Terme e Lari. Tutte gare, queste, che prevedono il massiccio apporto dei volontari, così come negli ultimi tempi anche dei carabinieri in pensione, che, forti della loro esperienza per le strade, hanno permesso all’organizzazione di individuare meglio qualsiasi tipo di criticità che si può trovare per strada, soprattutto quando si tratta di parlare con gli automobilisti o con le persone “bloccate” dalla gara, perché “con l’esasperazione che c’è in giro non è facile tenere uno fermo in macchina tre o quattro minuti ad aspettare che passi la corsa. Oggi tutti hanno fretta. Allora bisogna essere organizzati bene per non trovarsi poi con una cattiva reputazione a causa di un disguido avuto per strada. Sappiamo che non succederà mai, perché cerchiamo di essere sempre a disposizione tutti e di fare una cosa comune per il comune di Vinci”.

Un’altra peculiarità del Città di Vinci è la concomitanza con un altro trofeo ciclistico, quello che viene organizzato a Levane, frazione a metà dei comuni di Montevarchi e Bucine, in provincia di Arezzo, con la quale il Città di Vinci detiene un piccolo record: entrambe sono le uniche gare ciclistiche in Toscana a essere organizzate nello stesso giorno e ad avere il benestare della Federazione. Ciò accade perché a Vinci corrono dopo pranzo, a Levane dopo cena.
Tutto ciò accade grazie ai buoni rapporti che ci sono sempre stati tra Levane e Vinci e alla disponibilità di “scambiarsi” i corridori, così da garantire sempre la buona riuscita di entrambe le corse, “anche quando ci sono stati nubifragi che rendevano difficoltosa l’organizzazione. da cose così si traggono sempre buone cose”.

La popolarità della gara vinciana fra gli addetti ai lavori è cresciuta anche grazie al tipo di percorso: una gara di 120 km aperta sia allo scalatore, che al velocista oppure al passista. È quindi molto competitiva perché tutti hanno la possibilità di vincerla. E vincere una gara di oltre 50 anni di attività, significa anche fare acquisire un certo prestigio al proprio palmarès. “I corridori che vengono lo fanno per fare un buon risultato e tanti che hanno vinto a Vinci poi sono passati professionisti”. Negli ultimi anni, a supporto della manifestazione è intervenuto anche l’Oleificio Montalbano, che nel giorno della corsa apre le porte e ospita tutta l’organizzazione, mettendo a disposizione i locali. “Anche questo dimostra la bontà del nostro evento ed è beneficio di immagine di tutti”. La bellezza e la “normalità” del percorso, come ama dire Renzo Maltinti stanno anche nell’itinerario che i ciclisti seguono e nella compatibilità del tracciato con il traffico cittadino, visto che tutto è stato studiato in maniera tale da non dare particolari fastidi alla quotidianità automobilistica, offrire uno spettacolo agli appassionati che possono guardare i ciclisti da vicino, omaggiare un paese regalandogli l’arrivo in mezzo alla gente.

In questo modo è stata studiata una strada che pur mantenendo la bellezza paesaggistica (dalle Quattro Madonne si scende fin giù a Dianella e si prosegue a destra per Vinci, toccando minimamente Sovigliana) consente alla gara di arrivare infine a Vinci con il traguardo sotto le mura, soluzione che negli ultimi due anni è stata maggiormente gradita rispetto all’arrivo ad Anchiano. Gesto fortemente simbolico, quello di arrivare sotto la casa natale di Leonardo, ma rivelatosi poco pratico per alcune questioni logistiche e, appunto, perché ad Anchiano c’era posto per meno persone all’arrivo, come è invece stato nel Capoluogo. Tutto questo, l’organizzazione di una gara divenuta ormai storica, le collaborazioni con le amministrazioni comunali che si sono succedute nei decenni e con le altre realtà ciclistiche regionali e nazionali, hanno dato il giusto credito fino al coinvolgimento, puntuale, che l’organizzazione del Giro d’Italia ha preteso dal GS Maltinti, fondamentale per la realizzazione delle tappe che nel 2019 hanno toccato il nostro territorio. “Al Giro abbiamo dato consigli sulla viabilità, sul percorso; abbiamo dato pieno supporto logistico garantendo la nostra presenza a tutti i bivi, dove c’era uno di noi a indicare la strada ai veicoli della carovana. Quando dai la possibilità di dare completa via libera, l’organizzazione di una grande corsa ciclistica a tappe com’è il Giro respira. È ciò che è successo per la Tirreno-Adriatico, per esempio, e noi abbiamo sempre risposto positivamente. È un bell’impegno”.

L’impianto del Gran Premio Città di Vinci è basato sui giovani, così come la filosofia di Maltinti è il principale motore della sua passione per il ciclismo. “Crediamo molto nei giovani e per questo riserviamo la gara agli atleti che hanno un’età fra i 18 e i 21 anni”.
Forte è anche la battaglia quasi politica che Maltinti, insieme ad altri che la pensano come lui, porta avanti: “Nelle nostre gare la federazione internazionale ha dato la possibilità alle Continental, che sono le società professionistiche, di venire a correre in gare come il Città di Vinci. Io personalmente non sono d’accordo: sono squadre che hanno ciclisti che per il tipo di attività agonistica che fanno, hanno la possibilità di arrivare alle nostre gare molto più allenati. Invece nelle nostre gare ci sono giovani che non fanno una vita da professionisti,e per questo rimangono penalizzati rispetto ai Continental, così come ne viene penalizzata la competitività della nostra gara. Però noi stiamo portando la nostra voce in federazione e piano piano credo che le nostre mozioni saranno accettate”. Ma negli ultimi anni, recrimina Renzo Maltinti, manca “il campioncino di zona. Io ho una squadra di dodici ragazzi che provengono dalla Costa Rica, dalla Sicilia, dal Piemonte, dalle Marche; l’altra metà sono qui di zona”.

Ciò che Maltinti contesta è la precocità con la quale si fa diventare “campione”, e quindi si brucia, un ragazzo normale che acquisisce dei risultati: “Secondo me il problema è che si fa diventare campioni prima che lo siano veramente. Campioni lo si diventa piano piano, facendo la gavetta. È questo il male della maggior parte dei vivai italiani. Un giovane juniores che dà due pedalate in più è subito sopravvalutato e paragonato ai grandi campioni. Non sono d’accordo, perché il ragazzo si monta la testa, arriva nei dilettanti e si ferma. Ci vogliono sacrifici. Qui in zona ci sono persone che hanno fatto tanti sacrifici e sono arrivati dove sono arrivati. Ma è cambiata la mentalità. Con un risultato non hai fatto niente e di risultati ce ne vogliono tanti per diventare qualcuno. Oggi la percentuale di ragazzi che fanno sacrifici è cambiata. Purtroppo ci dobbiamo adeguare ai tempi, ma dobbiamo ascoltare anche chi ha fatto bene nella propria carriera. Se un giovane corridore ascolta chi ha esperienza allora ha voglia di imparare. Non bisogna mai sentirsi professionista prima di cominciare”.
La domanda che ha accomunato questa serie di incontri con i grandi esperti del ciclismo della nostra zona (“Perché un giovane dovrebbe scegliere di fare ciclismo?”) ha scaturito in Renzo Maltinti una storia con una morale fondamentale, che dimostra come dovrebbe essere l’approccio dei giovani al ciclismo.

“C’era un ragazzo, Enrico Maestrelli, di Avane, che aveva delle grandissime doti. Quando abbiamo visto il suo potenziale l’abbiamo precettato alla San Giacomo, una società ciclistica del nord Italia, di cui Carlino Menicagli era direttore sportivo. Menicagli si fidò delle mie parole e valutazioni su Enrico, che fu ingaggiato e ripagò tutti correndo una grande Tirreno-Adriatico e facendo diversi piazzamenti. Maestrelli arrivò anche a correre il Giro d’Italia. Un giorno, c’era il Processo di tappa in tv la sera e De Zan lo chiamò in trasmissione perché Maestrelli, mancino, oltre a correre sapeva anche dipingere bene. De Zan poi chiese a Menicagli dove avesse trovato questo ragazzo, che nessuno conosceva, né sapeva che esistesse. Menicagli rispose che l’aveva preso da una società ‘che lo spinge, ma lo aiuta’. Ecco cos’è il GS Maltinti: è una società piccola che aiuta il ciclista. È possibile che una grande società l’avrebbe spremuto senza lasciargli nulla da dare; invece noi non vogliamo risultati subito, ma dosiamo i nostri corridori cosicché non siano ‘spremuti’ e abbiano tutte le loro risorse a disposizione per tutto il tempo che svolgono la loro attività agonistica. Purtroppo – racconta Maltinti – Maestrelli ebbe poi un incidente alla mano che gli precluse ogni sorta di carriera ciclistica”.
Il quadro attuale del GS Maltinti è tuttavia confortante.

“Adesso ci sono molti ragazzi in crescita e alcuni sono a fare gare in nazionale o gare internazionali. Questi ragazzi ci rappresentano ed è un bel biglietto. Inoltre siamo confortati dagli sponsor, che ci supportano e sono fondamentali, molti della zona, che credono in noi e ci fanno andare avanti e di questo siamo riconoscenti.
Una delle cose che rendono orgoglioso Renzo Maltinti è il fatto che da quando il Città di Vinci è stato preso in mano dalla sua società, tutto è filato liscio e senza intoppi. “Non ci sono ancora società disposte a prendere il nostro testimone, quindi ci assumiamo oneri e onori dell’organizzazione. Fare questo lavoro è importante e va fatto in maniera ligia e senza disguidi”.
Anche quando si tratta di momenti delicati come potrebbe essere un caso di doping, sempre in agguato, anche in ambiti locali come quello del Città di Vinci. “In 42 anni di gestione abbiamo avuto solo tre casi di doping. Nei nostri contratti chi è sospettato di doping è subito bloccato e sollevato dai propri impegni con la società”.

Altro motivo d’orgoglio è che “al Città di Vinci vengono da tutta Italia, per due ragioni: una è l’amicizia che mi lega con tanti presidenti di altre società; e poi siamo ospitali e li facciamo tornare più che volentieri”. Ascoltando le parole del patron nulla è lasciato al caso, non solo per quello che riguarda l’organizzazione della gara in sé, ma anche per tutto l’apparato d’accoglienza: “Ci occupiamo anche di organizzare gli alberghi e i catering, soprattutto per le squadre che vengono da fuori”.

Infine, Maltinti ci lascia con una piccola nota autobiografica venata di rammarico per quello che si è trovato ad affrontare nella sua attività ciclistica: “Bisogna avere le motivazioni per correre e io a un certo punto non le ho più trovate, perché mi sono accorto che non c’era equità di comportamento fra molti corridori. Ho incontrato molti furbi che correvano in maniera scorretta e dentro questo tipo di ambiente non mi sono ritrovato”.