Uno spunto interessante offerto dal prof. Salvadori per cercare di capire perché l’Uomo Vitruviano potrebbe essere legato a Sant’Andrea.
Perché Leonardo sentì il bisogno di precisare di aver trovato la soluzione dei suoi studi nella notte di Sant’Andrea?
Quasi fosse un indizio di ispirazione divina, il Genio ci rivelò nei suoi appunti:
“La notte di Sancto Andre[a] trovai al fine la soluzione della quadratura del cerchio. E in fine del lume e della notte e della carta dove scrivevo, fu concluso” (1).
Questa notazione è stata sempre letta nella sua accezione temporale e non in quella iconografica. Il patibolo di Andrea fu infatti una croce a X. (2)
La cappella del Castello di Vinci era intitolata alla S. Croce, mentre il suo popolo aveva come avvocato S. Andrea, tanto è vero che agli inizi del ‘500 la chiesa venne intitolata a S. Croce e S. Andrea; certo fu questa una ulteriore suggestione che rimase nella mente di Leonardo.
Il problema affrontato nell’Uomo Vitruviano non è quello classico della quadratura del cerchio come equivalenza di superfici; nel famoso disegno di Leonardo la superficie del cerchio è più grande di quella del quadrato.
Infatti il disegno dell’Uomo Vitruviano sembra del 1490, quella “notte” fu probabilmente nel 1504 e la quadratura del cerchio viene studiata nel 1516. Perdonatemi se qui tuttavia voglio giocare un po’ di fantasia, per cercare, con un po’ di eresia, di avvicinarci alla sua mente.
Quello che invece il disegno di Leonardo risolve è l’aver individuato una misura intrinseca all’uomo per cui nel suo corpo io trovo le misure che lo inscrivono sia al quadrato che al cerchio, quindi quel rapporto cercato fra lato e raggio delle due figure.
Qui dunque, anche se il tema è lo studio delle proporzioni fra le parti del corpo indicate nel trattato di Vitruvio tradotto da Francesco di Giorgio Martini, le irriducibili forme del quadrato e del cerchio trovano nell’uomo una corrispondenza.
Certo: era la notte di Sant’Andrea, il 30 Novembre, patrono della sua città natale, Vinci. (3)
Forse un beneficio quella notte fu possibile calarlo sulle tribolazioni dello scienziato-artista Leonardo! Forse una magia poté transitare dal cielo a questa terra per li omini boni che desiderano sapere, che desiderano la conoscenza.
Fu così forse che le due principali croci cristiane, quella di Cristo e quella di S. Andrea, sovrapposte, furono alla base dell’idea leonardesca.
Quello della quadratura del cerchio era il problema più annoso, anzi, possiamo ben dire un problema millenario, su cui si erano misurati i più insigni geometri, matematici e filosofi: si può costruire con esattezza un cerchio che abbia la stessa superficie del quadrato?
Problema irrisolvibile per la presenza del π, cioè di un numero irrazionale, trascendente, di una costante matematica che possiamo considerare definibile solo in modo astratto, indipendente da misure di carattere fisico; misura magica questa, ma che è insita comunque nella costruzione delle forme di natura.
In quella notte, forse, proprio il Santo parve porre quel cruccio nella mente di lui, di quel Leonardo che sapeva cogliere e dar forma alla Scienza unendola all’Arte; quel cruccio, croce di ogni scienziato, ve lo pose, ma per farlo poi risolvere dal suo Genio, perché si pacificasse da una ricerca che si inoltrava nella notte: fu così che il segno del suo martirio, la croce a X col suo corpo, si sovrappose all’uomo quadrato?
Quell’uomo, che era il centro del pensiero del Rinascimento e alla cui forma si voleva conformare la stessa architettura (dopo che Policleto ne aveva stabilito i canoni dimensionali) tramite il disegno stellato della città, provando e riprovando lo si plasmò sull’esagono e sul pentagono; e lì quell’uomo, quasi crocifisso, si era tentato di inscriverlo, affinché quella Verità, plasmata da Dio nelle di lui forme armoniose, divenisse matrice di altre perfezioni, sia di quella sociale di una città, sia di quella delle fortezze, quasi dotandole così di una malia vincente nell’ultimo baluardo, la cittadella, a difesa della libertà di un popolo.
Quella dell’architettura antropomorfa fu una mania del Rinascimento. Tanto per restare in zona, Giuliano da Sangallo sull’uomo modellò la fortezza di Poggibonsi e Antonio da Sangallo il Giovane la Fortezza da Basso di Firenze. Essi privilegiarono il pentagono, in quanto semplificazione della forma pentadattila e penta-sensoriale dell’uomo: un corpo centrale con quattro arti – gambe divaricate e braccia aperte in basso – più la testa. Queste cinque appendici, costituendo anche gli strumenti di offesa nella lotta, diventavano i vertici appunto del pentagono, trasformandosi ciascuno in un bastione. Era questa la forma adatta per la città e per un uomo nella difesa: la città avrebbe difeso la sua porta di accesso, l’uomo soprattutto i suoi organi genitali (nella similitudine, il mastio della fortezza sta protetto al centro delle due gambe-bastioni).
Ma forse Leonardo non pensa tanto all’uomo bestiale, guerriero, all’uomo carico di crudele passione, simile a quelli impegnati nella battaglia d’Anghiari.
L’uomo nuovo a cui pensa è quello pacificato, che si offre frontalmente alla fede della sua nobiltà: un Cristo triunfans, l’uomo dei quattro punti cardinali a braccia aperte (alto-basso-sinistra-destra), l’uomo centro delle sei cartesiane direzioni dello spazio, se vi si aggiunge davanti e dietro: l’uomo che è dunque 7, il numero perfetto.
Quell’uomo è capace anche di seguire il percorso del sole per essere dotato di un collo girevole, come asseriva Seneca, che ha intorno a sé quel corso circolare e che indaga per sua curiosità non solo il mondo sovrastante (cerchio), ma anche quello circostante (quadrato, quello terreno su cui poggia i piedi); quell’uomo che è centro del tutto e misura di tutte le cose, come asseriva Protagora.
Se il centro del cerchio cosmico è nell’ombelico, il centro del quadrato terreno è nel suo sesso.
Ecco che alla visione poligonale e stellata in voga sostituisce quella di due figure piane perfette (cerchio e quadrato) e con un guizzo che fu dono in quella notte di Sant’Andrea, scelse l’altro indizio della più nobile seconda croce: quella a X , con cui risolse, con le proporzioni dell’uomo, non tanto la quadratura del cerchio, ma il rapporto fra essi, così che il numero magico del π diventasse connaturale all’uomo stesso.
Quel Leonardo che aveva trovato la verità delle leggi di natura nella continua diversificazione della creazione terrena, nel tipico, forse ci dice che il modello di tutto sta nella matrice superiore custodita in un mondo sacro celeste, in una sorta di Paradiso, nell’Eden non corrotto dalla necessità, quando l’uomo era a immagine vera di Dio.
L’illuminazione mutevole della luce, l’esperienza empirica del divenire, il perenne movimento insito in ogni crescita e nella degenerazione della morte, la stessa metamorfosi geologica della terra, lo spettacolo in scena ogni giorno fra la luce e l’ombra: forse in quel baluginare della fiamma della candela che stava per finire, Leonardo trovò quale fosse il punto fermo, il sigillo, la matrice immobile che caratterizzava l’eternità fondante del Creatore. Quel Creatore che si perfezionò creando l’uomo, quale diamante nel castone della sua idea di mondo, non segnò forse anche l’uomo stesso nel punto della sua generazione filiale?
Là dove il Sommo Geometra puntò il compasso dell’Universo (come ha bene interpretato Blake con L’Antico dei Giorni), ora qui lo punta nell’ombelico dell’uomo. L’ombelico: un ciclone dalla forma spiraliforme che Parmigianino farà affiorare nel ventre di Maria, fornace alchemica di ricongiunzione degli opposti; qui gli opposti, gli irriducibili, sono il quadrato e il cerchio, e qui finalmente essi circoscrivono l’uomo che ne è la chiave.
Leonardo, che ha segnato nella tavola dell’Adorazione dei Magi degli Uffizi il centro del vortice della Storia in Cristo, punto nevralgico del trapasso fra l’era della barbarie e quella della Rivelazione, lo stesso vortice generativo lo pone nell’ombelico centro dell’uomo e lì punta il compasso per creare l’Uomo Vitruviano.
Oggi questo stesso simbolo lo vorremmo generativo (evolvendosi da quell’icona nota a tutti di “mattone monetario”) di una vera rinascita europea fondata sulla sentita responsabilità verso i drammi dovunque vissuti dall’uomo.
1.”Scritti Letterari di Leonardo da Vinci”, a cura di Augusto Marinoni, Einaudi 1974, pag. 89. È tratta dal Codice di Madrid II.
2.Andrea fu il primo a riconoscere in Gesù il Messia e lo fece conoscere al fratello Simone, pescatore come lui, detto Pietro (San), da cui il Protocletos. Fu crocifisso a Patrasso, in Grecia, su una croce decussata, a forma di X, onde non eguagliare il suo Maestro nel martirio.
3.Sant’Andrea è avvocato e difensore del popolo di Vinci; ciò si evidenza nello Statuto del Comune di Vinci del 1564; in quello del 1418 si indicano tutti gli Apostoli in generale.
Silvano Salvadori
presidente del Circolo Arti Figurative di Empoli
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