In un detto vinciarese si nasconde un’antica tradizione del Giovedì santo. Vediamo quale e riscopriamo il significato della veccia.
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Fra le tradizioni della Settimana Santa, ovvero l’ultima di quaresima, si rammenta quella del Sepolcro di Gesù, che si prepara nelle chiese per le cerimonie liturgiche del Giovedì Santo, quando le campane sono legate e non suonano.
Un tempo, il sepolcro veniva composto con le statue raffiguranti la Passione, il Cristo deposto e la Madonna piangente, e ornato con piante. Secondo una vecchia usanza, i fedeli preparavano per l’occasione delle piante coltivate nei mesi precedenti al buio (per assimilarle a quelle che potevano nascere in un sepolcro naturale), cresciute bianche e filamentose. Da noi sono chiamate le vecce (o veccie).
Propriamente, la veccia è il seme di una pianta erbacea appartenente al genere Vicia, comprendente molte specie che crescono anche spontaneamente. La veccia veniva una volta usata come foraggio e i semi come mangime per animali da cortile. In tempi più remoti, si ricorda la veccia anche come surrogato del grano per farne una farina per la panificazione, seppure una consumazione eccessiva potesse dare degli inconvenienti lassativi.
Qualche mese prima della Pasqua si seminano le vecce in appositi vasi, che si conservano e curano al buio, una volta il luogo predestinato erano proprio le cantine, per portarle il Giovedì Santo al sepolcro di Gesù nella chiesa più vicina. I conti dei giorni e delle lune sono fondamentali per avere le vecce pronte per il gran giorno; una volta addirittura erano oggetto di calcoli personali e segreti per avere così il privilegio di portare in chiesa il “vaso” più importante. È evidente che il buio dà ai germogli e alle piante erbacee un aspetto un po’ tetro, molto filamentoso, e un colore bianco, quasi albino, al punto che nel gergo comune, quando si vede una persona molto pallida in volto ancora oggi si dice: «Sei bianco come una veccia».
Il Sepolcro è ancora in uso nelle nostre chiese, forse con meno abbellimenti di una volta.
Restano tuttavia le vestigia di tali usanze nelle bellissime statue devozionali che adornano molte cappelle degli edifici sacri. Per esempio, molto particolari sono quelle della Chiesa di Santa Croce di Vinci, datate addirittura 1618, conservate oggi nella Cappella del Crocifisso. Alcune donne del paese continuano la tradizione della coltivazione delle vecce o veccie, come dimostrano le immagini del Sepolcro realizzato a Vinci in questi ultimi anni per il Giovedì Santo [e siamo certi che non mancheranno neppure in quest’anno di pandemia].
Una curiosità sui Sepolcri: un tempo si diceva che con il giro delle sette chiese, visitando almeno sette sepolcri, si potevano ottenere indulgenze e altri benefici. È evidente che tale possibilità era consentita solo a chi abitava nei grandi centri. Per gli abitanti della campagna era assai difficile visitare sette chiese distanti, magari, anche decine di chilometri. Per cui i contadini di un tempo pensarono di sopperire all’esigenza e al debito scongiuro entrando e uscendo sette volte dalla stessa Chiesa.
Un’ultima segnalazione, anche turistica: nella città di San Casciano Val di Pesa da qualche anno, grazie alla passione di alcune persone, vengono realizzati nelle varie chiese del paese dei Sepolcri molto grandi, in luoghi artistici di particolare suggestione (con opere di Lorenzetti, Bicci di Lorenzo, Masaccio). I Sepolcri restano aperti e visibili fino a tutta Pasquetta, occasione per una gita fuori porta e ricordare un’antica tradizione popolare.
Questo articolo è stato pubblicato nel blog Dama di Bacco venerdì 2 aprile 2010
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